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Allergia al nichel: quale dieta?


Pubblichiamo oggi il contributo della dottoressa Manuela Fè, Biologa Nutrizionista, sull’allergia al nichel

Il nichel è un metallo presente un po’ ovunque: cibo, acqua, suolo, cosmetici, monili, utensili, creme e saponi. Forse proprio a causa di questa continua esposizione l’allergia a questo elemento è molto comune. I sintomi più frequenti sono dermatologici (pruriti, orticaria, dermatite atopica…), si sviluppano nella sede del contatto ma anche altrove indicando che l’allergia può essere provocata sia dal contatto diretto sia dall’ingestione del metallo. Nel tempo anche altri sintomi — come mal di testa, astenia, diarrea, vomito e infiammazione intestinale — sono stati riconosciuti come reazione all’ipersensibilità al nichel.

dieta nichel free

L’unica forma diagnosticabile con il patch test è l’allergia da contatto, molto diffusa in Europa (colpisce il 20% della popolazione), ma soprattutto in Italia dove i casi salgono al 32%, con una maggiore percentuale di donne rispetto agli uomini. Di solito compare tardi (terza decade di vita) e dura per molti anni o per tutta la vita.

Diversi studi mettono in evidenza come una dieta povera di nichel sia utile per far scomparire o migliorare i sintomi sia dermatologici sia extradermatologici; nonostante ciò, è difficile da applicare anche perché la relazione tra contenuto di nichel nella dieta e sintomi correlati è altrettanto difficile da determinare. Questo succede perché, essendo impossibile eliminare completamente il nichel dalla dieta, non si può applicare il classico protocollo di eliminazione/reintroduzione come si usa fare per alimenti che causano allergie o intolleranze.

Un altro aspetto è che il contenuto di nichel nel cibo è difficile da determinare: caratteristiche del suolo, dell’acqua, dei fertilizzanti usati e perfino le stagioni ne influenzano e modificano il contenuto. Difficile pertanto misurare la reale quantità di nichel assunta quotidianamente: solo attraverso la comparazione di molti dati si è arrivati a stimare che più o meno il contenuto di nichel in una “normale” dieta si aggira intorno a 0,2-0,6 mg al giorno (questa quota sale nei Paesi scandinavi dove l’alimentazione è più ricca di legumi, soia, frutta secca, cioccolata e fiocchi d’avena).

Come nutrizionista, mi viene chiesto spesso di formulare una dieta a basso contenuto di nichel, ma consultando gli elenchi presenti in letteratura ci si rende conto che sono poco sovrapponibili se non addirittura in contraddizione tra loro. A volte i pazienti si presentano in studio già muniti di una lista veramente lunga di cibi proibiti e spesso anche questi sono molto variabili. Come gestire tali dati ambigui, allora? Quale strategia usare con i pazienti che accusano disturbi? Tenendo conto del fatto che, come ci dicono gli studi, la dieta può rivestire un ruolo importante nell’insorgere dei disturbi, è necessario trovare un compromesso tra la difficoltà di attuazione di una dieta a basso contenuto di nichel e i benefici che ne possono derivare.

Come regola generale, il nichel è più abbondante in cibi di origine vegetale (circa quattro volte superiore rispetto a quelli di origine animale) e opinioni unanimi si riscontrano su uova, carne e latticini che sono considerati a basso contenuto di nichel in tutti gli elenchi consultabili. Al contrario, opinioni contrastanti si riscontrano per il pesce: alcune fonti consigliano di escludere aringhe e molluschi; altre salmone, tonno, crostacei e sgombri; altre ancora invece consentono ogni tipo di pesce, ma escludono i molluschi. Nonostante le contraddizioni vi è accordo pressoché unanime su una serie di alimenti che sono considerati ad alto contenuto di nichel: cioccolato, farine integrali, avena, frutta secca, liquirizia, legumi, soia e derivati. Ci sono posizioni contrastanti su molti altri alimenti: funghi, pomodori, caffè, vino, birra, mais, ananas, lievito, albicocche, avocado, frutta essiccata, lamponi, spinaci, pere, cipolle e molti altro ancora. Basti pensare che alcune linee guida indicano una decina di cibi come proibiti mentre per altre questo numero sale fino a quaranta. Inoltre ci sono restrizioni basate non solo sul contenuto di nichel: per esempio cibi che vengono indicati come da evitare perché aumentano i sintomi dermatologici; birra, vino, tonno, carote, pomodori, cipolle, mele e agrumi o i cibi acidi perché aumentano il rilascio di nichel dagli utensili di acciaio inossidabile come posate e pentole. Nella buona riuscita della dieta si deve anche tener conto del nichel assunto dal fumo di sigaretta (se si è fumatori) che ammonta a 1-3 µg per sigaretta e dall’acqua potabile che può avere un contenuto più o meno alto (in qualche caso si consiglia di non bere la prima acqua del mattino che è ristagnata nei tubi).

Nonostante molti studi siano a favore della dieta a basso contenuto di nichel, bisogna dire che altrettanti ne contestano il potere benefico, asserendo che le dosi somministrate sperimentalmente per via orale per scatenare i sintomi sono ben più elevate di quelle rilevabili in una normale dieta. Tutto ciò porterebbe a far pensare che esista una variabilità individuale nella quantità di nichel assunta e tollerata e che la dieta a basso contenuto di nichel può essere efficace per alcune persone, ma non per altre. Al fine aiutare i pazienti imponendo loro il minimo sacrificio, una buona soluzione potrebbe essere quella di eliminare solo i cibi ad altissimo contenuto di nichel, per i quali si riscontra maggior accordo tra le fonti per 1-2 mesi decidendo se proseguire o meno con questo tipo di dieta per tempi più lunghi (fino a 6 mesi) dopo la valutazione dei benefici concreti a livello individuale.

Dottoressa Manuela Fè

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